giovedì 9 marzo 2006



AGF + Zavoloka: " Nature Never Produces The Same Beats Twice" (Nexsound, 2006)

Due stelline dell’elettronica europea si uniscono per estrarre dalla natura, “quel suono che non si ripete mai due volte”.
La prima figura coinvolta nel progetto è AGF (Antye Greie-Fuchs): poeta, cantante, e instancabile musicista, autore, nella sua carriera, di lavori dal valore assoluto. Passando dal lato pop, con “Filesharing” dei Laub, attraversando la carriera solista (“Westernization Completed” il suo migliore) e cogliendo a caso un disco, nel suo fantastico 2005, uscito sotto l’acronimo Lappetites, con ”Before The Libretto”. Deterioramenti sincopati e vagamente rumorosi.
L’altra fanciulla in gioco è Zavoloka (Kateryna Zavoloka), giovanissima musicista ucraina, entrata nel giro dell’elettronica sperimentale che conta, a forza di opere ineccepibili. “Plavynia” e “Suspenzia” sono due pezzi di ghiaccio frastagliato, pungente e sfaccettato.
Nel 2003, AGF, dopo aver ascoltato delle tracce della ragazzina, la contatta e, apprezzando a vicenda il loro lavoro, decidono di comporre musica assieme.
Dividono il palco spesse volte, precisamente in Belgio e in Francia, il loro peregrinare fra vari concerti le porta a concepire, loro la defizione, una “techno per gli alberi”.
50 piccoli frammenti di una natura mai ripetitiva, scrosciante rumore freddo e puntiglioso, gocce di rugiada tenerissima, dolce, dolorosa. Spigolosità e angoli arrotondati, suoni che si (ri)creano a vicenda, circolari ricami timbrici, onde sinusoidali che presentano instabilità schizofreniche.
Battaglia di ritmo e fracasso, scrosci noise docili e malleabili, un rimbombo vocale si strascica e si presenta frequentemente, una foresta di baccano manifesta il suo dolore con distacco.
La divisione delle tracce in 5 categorie rende il lavoro molto curioso, come se non bastasse il tema su cui ruota tutta l’opera e l’enorme numero di composizioni.
Ogni sezione è caratterizzata da un target sonoro differente, cambiamenti appena percettibili, particolari che distinguono una manciata di bigliette dalle altre.
Riguardo la prima serie, l’ondeggiante glitch-pop di “Rozmai” è un motivetto claudicante e spastico, “Sunytsia” è un marasma di suoni aleatori, “Aria” è un minuto di ossessione vocale. Minimalismo, un’ode al silenzio starnazzante, in “Do Divchyny“, crisi epilettiche di una macchina mal programmata in “Mak”, rumore puro e screziato in “Zelena”. Fra le prime 15, particolarmente incisiva “LionTeeth”, loop di voci ombrose, staffilate di noise bianco, beat saltellante.
Seconda serie più giocattolosa, il ritmo sale, le orecchie si fanno più ferite.
“Brusnitsa” è una techno minimale e danzante, “Lyshchyna” è un oblio di note spezzate e minuziosamente intrecciate a caso, “Sosna” è un magma lavico che scende sulle pendici di una foresta di alberi, “Bereza” è una pioggia atomica che bagna i rami delle piante immaginarie, “Blattlaus” sono dei tuoni che scrosciano, sfasciando i busti. “Oldtalkingrees” sono le interiora che si tormentano, lamentandosi, “Dubeiche” è uno strepitio vacillante. Al termine di questo pugno di “canzoni”, sorpredenti per impatti sonoro, “Affenbrotbaum” e “Kiefer”, turbine di pulviscoli colorati e impazziti.
Il gruppo dedicato alle spezie si differenzia per un piglio più oscuro, i suoni sono meno scintillanti e, nel giro di 7 perline, l’atmosfera si fa torbida e infettante.
Una voce viene trattata in maniera indecente, contornata da schifezze (“Kohaju”), uno strepitio metallico perfora il senso di intendere (“Raps”), luminosi fili di noise gelido affettano l’aria in tanti cubetti di pace (“Melissa”). Un processore si lamenta in preda a una calma floreale e profumata (“Minze”), rumori pressappoco concreti disorientano (“Mavka”), una coppia di pallottole numeriche s’intromettono fra i neuroni (“Koriander”, “Bohnenkraut”).
Concludono gli arbusti e i fiori. Un prato sconfinato fatto di colore e amore.
Prima soffriamo inconsapevoli (“Efeu”, “Wein”, “Star”), soccombendo a un’apocalisse sommessa, s’intravede uno spiraglio di serenità (“Haselnuss”, “Star”), ricadiamo nel più totale frastuono, impotenti (“Lynmovgory”, Darkflowwerbrainnita”).
Animi pensanti rimarranno felicemente sorpresi dal tornardo di trambusti qui presente, una piccola lacrima d’amore verrà ritirata e fatta cadere per un dolore benvoluto, piccoli sorrisi irregolari si presenterrano anche sul viso più imperscrutabile.

(7,5)

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