giovedì 23 marzo 2006
Edie Sedgwick: "Her Love Is Real... But She Is Not" (De Soto, 2005)
Guardate la copertina. Riconoscete quella faccia spiritata? Si, è lui. Il bassista degli ex-El Guapo (ora Supersystem), tale Justin Moyer che diventa una drag queen. E' lui il protagonista di questo nuovo disco della combriccola. Si traveste da donna, un po' di rossetto, sguardo effemminato, abiti stravaganti (guardare il booklet per credere) tanta voglia di divertire e un nome forgiato per l'occasione: Edie Sedgwick. I titoli delle canzoni dedicati a vari attori (!?!, umoristicamente serio il racconto presente nel booklet). Il disco? Beh, siamo sulle coordinate dell'album uscito da poco sotto il nome Supersystem ("Always Never Again"). L'unica differenza sta nel fatto che l'evoluzione dei nostri è stata su ritmi più dancy, questo riprende l'anima giocosa e lo spirito del divertimento che più gli si addiceva. Per capirici, siamo sulle orme di "Fake French" (firmato El Guapo). Canta solo Justin coadiuvato da Pete Cafarella e Rafael Cohen, e il risultato è uno spasso totale. Drum-machine in delirio, synth presi da forti convulsioni, voci in loop e un sacco di pazzie assortite.
Si parte con un pezzo ("Martin Sheen") basato su un giro di synth simpatico e seguito da un groove veramente contagioso, la voce cangiante che ne segue è perfetta. Si applaudono pure da soli nel finale. Spassoso. Sulle stesse basi si attesta "Sigourney Weaver": synth svolazzante, batteria in amplesso, voce assatanata. Segue una techno-song ("Robert Downey Jr.") da far impallidire: drum-machine possente, organo trattato in sottofondo e voci in loop che rendono il tutto alquanto straniante, ma al contempo originale. Si avvicenda un minuto scarso di pazzia pura ("Lucy Liu"), vari strumentini elettro liberi di intrecciarsi, come non si sentiva dai tempi di "Super/System" (sempre sotto nome El Guapo). Il risultato rimane ai quei livelli. Altra gemma: "Molly Ringwald". Base di basso, ritmo tenuto dalla drum, chitarra molto eterea, coro in loop in sottofondo; mettiamoci altre convulsioni digitali sul finale e amenità assortite: stupenda.
"Michael J. Fox" forgia un suono elguapiano, coretti da sbellicare, rumori che provengono dal nulla, strumenti elettronici sapientemente dosati, fantasia da vendere. Ecco un pezzo tipicamente punky-funk, come vuole il trend attuale ("Arnold Schwarzenegger II"); forse l'unico un po' troppo normale rispetto al disco. Il finale rimane comunque divertente, come sempre del resto. Vera techno in "Tim Robbins", con groove possente, soltanto un minuto rosicchiato, purtroppo. Si prosegue con "Harrison Ford": altro pezzo non dissimile dai tratti descritti sopra, comunque marchiato da ritmi spezzati e da una melodia malata.
Mancava proprio di nominare il buon "Tom Hanks (II)". Ed ecco qua l'ennesimo pezzo da ricordare. Inizio stranamente pacato, con Justin che recita nel silenzio, quando inizia la base musicale sono faville: una drum-machine così giocosa non si sentiva da un po'... da ascoltare in loop per ore. Avanti con un pezzo abbastanza standard ("Sally Field"), forse l'unico un po' stanco. Le coordinate sono quelle di brani piu inspirati, ma la melodia non prende. Li perdoniamo. Il penultimo pezzo è una piece per organo (da messa), rumorini glitch in sottofondo e voce struggevole: interessante. Chiusura affidata a "Haley Joel Osment": altra meteora volante che ti prende e non ti lascia più.
Cosa dire di questo disco? Nel complesso è da ricordare. Nei singoli episodi siamo davanti a un lavoro molto ben fatto, che cade solo su alcuni pezzi un po' meno ispirati ("Sally Field", "Arnold Schwarzenegger II"). Rimane questa la strada che dovranno seguire i compagni del nostro Justin: divertirsi e farci divertire con i loro motivetti accattivanti e la loro fantasia. Lasciar perdere velleità troppo dance e riprendere il cammino iniziato benissimo da "Super/System" e "Fake French". Promosso a pieni voti.
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