domenica 12 marzo 2006









Vacabou: s/t (Hannibal, 2006)



Ecco qua un'altra piccola gemma nascosta, rimasta nei meandri della produzione discografia che dire frenetica è un eufemismo.

Il disco non è una vera e propria novità. E' uscito nel 2003 e distribuito in tutta Europa solo ora, attraverso la IRD, dopo la riedizione su All Saints.

In seconda battuta si rischia di prendere un grosso abbaglio se lo si ascolta con l'orecchio sbagliato.

Il genere di riferimento è il trip-hop. E voi direte: che senso ha fare trip-hop ora, quando il genere è morto?

Ecco, questo è sbagliato. Il disco parte da un sostrato trip-hop ma non si ferma qua, parte per strade trasversali e non si lascia dare una sola definizione univoca, non c'è staticità e fa della sua forza la poliedricità.

Le atmosfere sono oscure e ombrose, la voce è soffio di vento tagliente, la musica sa di dolore e malinconia.

Allora, un po' di storia di questo duo sconosciuto ai più.

L'autore della musiche è Juan Feliu, un compositore spagnolo, rimasto con il progetto "nel cassetto" perchè non riusciva a trovare una persona che cantasse le sue canzoni, non essendo in possesso di una gran voce (almeno da quanto dice lui).

In un intervista parla dei suoi primi passi con la musica, l'acquisto di un pc, la composizione frenetica, la voglia di esplorare nuovo orizzonti, la solitudine con cui si rinchiudeva nella sua cameretta per cesellare le sue lande sperdute.

Dopo qualche anno conosce Pascale Saravelli, la persona che fin da subito viene inquadrata da lui come l'adatto completamento alla sua musica, la voce che s'incastra perfettamente con le sue composizioni.

La ragazza non ha mai avuto esperienze in campo musicale ma si aggrega, e iniziano a registrare i loro pezzi.

Sembra un assurdità fare dei raffronti con le coppie uomo-donna di stampo sinuoso-melodico (Lamb, Goldfrapp) visto che, come detto in principio, non c'è cifra stilistica con cui poter catalogare questo lavoro.

Lo stesso Feliu dice:

: "La musica vive da sola, non siamo noi a crearla. Noi però la nutriamo con le nostre esperienze più diverse: viaggiare, leggere vedere mostro fogografiche - questo particolare è un aspetto che mi sta molto a cuore, nel live curiamo molto le proiezioni di immagini appropriate".

Ed ancora, leggo questo sua affermazione molto importante:

: "Tutti gli aspetti della composizione sono importanti, e io sono un perfezionista assoluto, prima di dichiarare finito un pezzo deve essere assolutamente privo di debolezze. Tuttavia, la cosa decisiva in una canzone è trovare il groove; e non è facile, non sempre risiede nel ritmo, a volta è in un accordo di chitarra, in una tastiera. E' difficile trovarlo, ma è fondamentale"

Le sue parole sono cruciali per riuscire a capire il senso della sua opera, per non fraintendere le sue intenzioni, dove con le sue composizioni voleva andare a parare.

E il disco ha davvero ritmo e groove. Non lasciano scampo queste pennellate autunnali, quell'andamento notturno, velenoso e ottenebrante.

Da non sottovalutare l'apporto della cantante, magistrale in diversi episodi, con un tono quasi sommesso, distaccatto e in disparte.

Meditation Park è una canzoncina per una radio alle 3 di mattina e un po' di alcool in più, con una chitarra strimpellare scema e scomposta, le voci si sovrappongono in un intreccio drogato. Le tastiere sono puntigliose, la percussione digitale è un letto di dolcezza.

To Rusia In White è un mantra urbano e lento, una cantilena digitale e claudicante, un pop malato e infettato da una malattia meccanica.

Note dirette e dilatate, loops stellari zampettano ovunque e un tappeto di bisbigli finti, quando docili, quando scabrosi, aggiungono un qualcosa di inusuale.

Life as Interference è digital-pop giocattoloso e spaziale, Plain è una canzone ad alto tasso creativo, con un piano, una batteria schizofrenica, crepitio elettronico e una voce maschile repressa.

Rannveig mi seduce con i suoi archi sintetici e una drum-machine indecisa se essere portante o di sostegno, in Blue Glass Highway i due si cimentano in un folk-tronic-pop. Sorprendente e piacevole.

Burunka Left è straniante e mai doma, fra un momento di classic-pop-rock ed attimi di sfrigolio digitale e marziano. Il tutto, con i secondi che scorrono, si scioglie in un silenzio rumoroso. La voce di Pascale è all'iceberg del disco. Un ibrido fra Beth Gibbons, Anneli Drecker, e chi altro? E' lei, senza paragoni ingombranti.

Iceland è birichina e amatoriale, una deliziosa sensazione home-made pervade per tutto il pezzo, le voci sono sdoppiate e il groove (come lo chiama Juan) è irresistibile. Fiati starnazzano, drones, percussioni metalliche.

Angels Of Night è forse il pezzo simbolo del disco. Bleeps colorati, una tastiera tintinnante, parole lontane/vicine, dolorose/piacevoli, un ritmo che fa fatica a prendere il largo e rimane impantanato in un mare di dolcezza e malinconia. Bellissimo, non riesco a starne lontano.

Conclude l'ambient distesa e rilassante di Dream Ner9 This Week: PDLV Piano. Una piccola suite per un mondo pacificio.

Questa opera non inventa, nè ha presunzioni d'impartire una qualche lezione. E' soltanto composta da canzoni dalla bellezza intrinseca e intriso di calore, amore e un battito che pare un cuore pulsante.

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