domenica 23 ottobre 2005

Kazumasa Hashimoto







Appartato musicista giapponese che ricopre le nostre solitarie giornate con composizioni in disparte, isolate, fredde.



 



Yupi (Plop, 2003)



Solare intromissione di dolcezza cotonata.

Sensazioni che ci trasportano in nuovo mondo, trasportati dalla soffice esistenza di Encyclopedic Landscape, straniati dal puntiglioso starnazzare di un suono d'altri tempi di Noaro, traslati a migliaia di chilometri da dove risediamo dalla catastrofe cosmica di Synapse.

Carune è un onirico sprofondare in una giungla fatta d'animali, flora rigogliosa e suoni casuali.



 



Epitaph (Flyrec/Mochi Mochi, 2004)



Minimali fraseggi di un piano scordato, distrutto, lasciato al suo destino.

Uno svolazzare impertinente d'anime sonore schizzofreniche.

Registrazioni per nottate scure, buie, solitarie.

Colonna sonora per una stanza in cui lo spazio è ridotto a una (sola) particella d'ossigeno.

Tratteggi sonori piccoli e perfetti quanto un atomo.

Timbri minuscoli e precisi, emozioni timide e sornione.

Beginning è un piccolo bozzetto di un minuto abbondante in cui un piano è sovrastato da una centrifuga interstellare di variegati suoni digitali.

In Echomoo sembra di sentire la versione glitch dei Rachel's.

Click & cuts sovrapposti a una partitura pianistica di indubbia bellezza.

1' è oscura e bastarda. Cresce esponenzialmente il pathos e raggiunge il culmine in un turbine di vociare umano, stramberie meccaniche ed archi martoriati.

SLD è un capolavoro di fantasia compositiva. Con il suo andamento claudicante, lascia più di un sorriso. Xilofoni, tastiere e intromissioni elettroniche contribuiscono a creare un atmosfera avvolgente.

Pare di sentire la versione jappo di una b-sides dei mùm.

Eama Gene sono sette di minuti di frustrazione sonora. Fiati a bassa fedeltà, drones, percussioni vere, infinitesimali rintocchi si ripetono con ciclicità puntuale.

2' ricalca la struttura di 1' aggiungendo un sax dalla natura sconosciuta.

Pulcinella (!!) è (ancora) un gioellino di out-pop. Il piano è lo strumento dominante con il suo procedere recalcitante. I piccoli tocchi vengono destabilizzati da disturbanti errori che impreziosiscono un pezzo praticamente perfetto.

Tormenti mentali decantati da una voce robotica in 3'.

La title-track è un miscuglio splendente tra l'animo indie-wave alla Piano Magic e un vago sentore di colonna sonora.

4' sono i Matmos in una camera a gas con una pressione insostenibile da sopportare, Ending è un toccante pezzo composto da una chitarra, delle parole e da un contorno dal sapore di tradizione.

Disco intimo, a se stante, sinuoso.



Due opere fuori da ogni definizione esistente.

Basta ascoltare per goderne. Senza parole.

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