martedì 20 dicembre 2005
Aiko Shimada: "Blue Marble" (Tzadik, 2001)
Un immaginario mondo fatto di accordi eterei, movimenti impercettibili e fumi soffocanti.
Suoni s'inglobano a vicenda, fino all'implosione impercettibile, distruggendosi senza rumore.
Un folk oscuro e ombroso. Anime di moog fanno da drones sinuosi, una chitarra ricama accordi situati a mezz'aria, la voce d'una fanciulla decanta parole appena sussurrate.
Canzoni per spazi infiniti e rovine d'un tempio arcano, lascito d'una principessa sofferente, stanco proferire di frasi dolorose e pungenti.
Mezame (Morning Part 1) è povera e scarna. Una chitarra, note di moog, la voce di Aiko. Le tre parti s'intrecciano come due amanti, in un letto d'amore, si fondono con passione travolgente. Altri vagiti sembrano chiedere aiuto, ma non si riesce a decifrare. Canzone proveniente da un paradiso offuscato dalla sofferenza.
Toki Wa Sugi inizia con una partitura di archi variegati tra loro sovrapposti, in un marasma di suoni misteriosi. Una piccola pausa anticipa un violino, ad accompagnare ancora una voce distaccata e splendidamente malinconica. Abissi di terrore e rintocchi d'una chiesa maledetta.
In Wakare fa capolino una batteria elettronica che sa di trip-hop urbano. Piccoli drones svolazzano schizofrenici in sottofondo, sfrigolio elettronico, parole come proiettili, suoni come pugnalate. Canzone per una notte, in una zona di Tokyo malfamata.
Busy Rabbit è un sinuoso intreccio tra acid-jazz, downtempo e un andamento minimale. Tratteggi percussionistici d'una scabrosità dolorosa, sciabordio metallico lontano migliaia di chilometri, una chitarra sa di folk ma è ammorbato dal contorno e perciò ne esce sfigurato e irriconoscibile.
Ad arricchire una struttura già di per sè satura, fanno soccorso degli archi centellinati.
Hikari (Morning Part 2) è un esperimento vocale alla Dead Can Dance. Vocalizzi angelici s'accavallano con docile silenziosità, fino al lamento finale, in un tripudio di lacrime nascoste.
La title-track è un jazz che più essenziale non si può. Note di contrabbasso pulsanti quanto un cuore vicino al collasso, note ferrose che sanno di industriale, piccoli, impercettibili, sospiri di chitarra. La voce di Aiko sovrasta ogni cosa, impressionando per interpretazione e poliedricità. Con il passare dei minuti s'introducono: armonica, una timida tromba, marea di suoni indecifrabili, sferragliare elettrico ed elettrificato.
Silent sono due violini che suonano a morte, la morte d'un sovrano indimenticabile.
Song For Mark è interamente strumentale. Un continuo scontrarsi tra una chitarra cristallina e un cello lacerante. Si sfidano a colpi emozionali, questi due oggetti concreti, senza raggiungere a una vittoria finale. Duello prolungato e sfiancante. Colpi inferti e parati. Noi assistiamo in silenzio.
Conclude il capolavoro del disco Asa (Morning Part 3).
Intrecci vocali traslati da un inferno paradisiaco, voci lontanissime e sperdute, tratteggi ambient, stridio elettronico pacato e martellante, strumenti spezzati, sfregiati e martoriati, battiti soffocati, gemito represso.
Si presenta Aiko, con il solito afflato perentorio, sancendo la fine del rito.
Canzone per un immaginario mondo in cui non ci sono sorrisi nè felicità, un terreno scuro, senza piante, senza anima viva.
Un disco duro, pungente, freddo e spietato. Smontate le vostre difese e lasciatevi (piacevolmente) ammorbare dai piccoli particolari, senza paura.
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RispondiEliminaFATELO TUTTI!!!!!!
ps. è na ragazza di LUcca come te...salviamo i concitadini dai
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RispondiEliminae io che credevo voleste commentare il disco... che delusione..
RispondiEliminacomunque sia, buonefeste.