giovedì 8 dicembre 2005





Fenton: "Pup" (Plop, 2005)



Si presenta sotto lo pseudonimo Fenton, il folletto elettronico Dan Abrams.


Attraverso il suo lavoro di scultore sonoro, è stato uno dei primi a fondere l’estetica e la sensibilità della tecnologie digitali con l’eredità lasciata da pioneri della musica ambientale come Briano Eno, David Parsons e Robert Rich.


Abrams inizia a fare musica da giovane, attraverso lo sviluppo esponenziale dei software per le manipolazioni elettroniche, arrivando alla pubblicazione di album fondamentali come Stream, sotto suo nome, e Frame sotto l’acronimo Shuttle 358.


Questo nuovo album rappresenta un passo avanti nel suo viaggio spaziale, attraverso miliardi di stelle, attraversando una marea di luci abbaglianti.


Pup si basa su un solo strumento: la chitarra. Praticamente tutte le composizioni s’incentrano sull’intento di scarnificare il suono di quest’ultima, ricoprendola di stratificazioni glitch, escrudescenze meccaniche e drones sinuosi.


“Bunny” conferma queste impressioni attraverso una lodevole mistura di pattern chitarristici proposti ciclicamente, con cadenza regolare, arricchiti da una coda artificiale e prolungata. Altri accordi si sovrappongono, ponendo su diversi piani d’esecuzione note disaccoppiate e disomogenee. Un continuo flusso sonoro si sviluppa con piacevole continuità, microscopica sporcizia timbrica costituisce un sottofondo molto puntiglioso.


Si procede con ”Neon Giraffe”. Un rimbombante sostrato, composto da bordate di rumore soffuso, definisce l’accompagnamento per le stratificazioni ritmiche d’una chitarra martoriata, questa volta più prolungate ed eteree. Un graduale attenuarsi delle spigolosità conduce a un finale pacato e silenzioso.


In “Once Upon a Forest” il ritmo è ancora più pacato e sommesso, “Gentle Meten” immerge un turbine di corde spezzate e spigolose in una melassa appiccicosa e voluminosa, “Boned Gouth” distende ancora di più gli animi ricamando soundscapes impercettibili, quasi un'ode al silenzio.


“Wageless” è una naturale mutazione di “Bunny”, in cui varie note vengono posizionate male, al posto sbagliato, creando un atmosfera molto straniante e distraente. Sperimentazione onirica e pacifica.


“Brother Blueberry” è meno concettuale e più concreta. Un accordo proveniente da cieli sconfinati nasce e cresce, si prolifera e si sviluppa con il passare dei secondi. Confluire di suoni concreti, in sottofondo, contribuiscono a creare un aura sognante, che ricopre i 5 minuti del pezzo di misticità misteriosa. Piccoli bleeps sbarazzini sono centellinati con precisione certosina.


Discorso simile per la successiva “Many Blades Of Grass Ago”. Ancora un oblio di accordi dorati vengono screziati da cincagliere digitali, sdruciture infinitesimali e pause che sembrano infinite.


“Forver Awkwand” aumentà la granularità con cui vengono scomposte le note di quella chitarra tanto amata/odiata. Ci troviamo dentro a una destrutturazione completa ed affascinante. Pediocamente intervengono registrazioni ambientali, tanto per dare un tocco di naturalità, nel complesso.


Conclude l’opera una cavalcata minimale come “Pup Is Seeing Now”, tra organi distesi, spezzettature celestiali e un tocco di classicità a un suono di per se alieno.


Un disco per attimi preziosi e malinconici, notti solitarie, da passare con questi scampoli di rumore silenzioso, momenti inestimabili. Un’opera scorbutica e distante, difficile da concepire. Al momento in cui ne rimarrete catturati sarà una malattia ad ammorbarvi.


 


(7)

Nessun commento:

Posta un commento