domenica 4 dicembre 2005






sanso-xtro: "Sentimentalist" (Type Records, 2005)


Melissa Agate cattura la nostra attenzione attraverso un album dai tratti calcolati, cesellati nei minimi particolari. Il contenuto mostra una mirabile miscela di strumenti acustici e manipolazioni digitali, da cui veniamo immediatamente avvolti e assaliti.


Nata ad Adelaide e residente a Londra, in origine batterista della misconosciuta formazione avant-rock a nome “Sindog Jellyroll”, con il passare del tempo s’accorge che il panorama “rock” le sta stretto ed inizia a sperimentare con una miriade di strumenti a corde, una sapiente mistura di elettronica sperimentale, molto inusuale e fuori dagli schemi. Chitarra acustica, banjo, ukelele, ogni cosa è utile per creare i suoi pattern che emanano originalità e innovazione da ogni singola nota. Raffronti riguardanti la sua musica, per sua natura quasi indefinibile, possono essere fatti con il glitchy-rock dei Radian, certi sapori dei più sperimentali Stereolab e alcuni rimandi alla scena del glitch puro, Microstoria, Opiate ed anche un certo Takagi Masakatsu su tutti.


Sentimentalist è un album scorbutico e scontroso. Piccoli accenni di melodia sembrano soccorrere un ascoltatore distratto, microscopici attimi d’armonia tratteggiano disegni circolari e ovattati. Spigolosità proliferano ovunque, ruvidezze sonore effigiano un mondo scabroso ed aspro.


Il principio tocca a “The Last Leaf” ed è già un viaggio ad iniziare, nella nostra mente.


Infinitesimali loop d’uno strumento acustico martoriato, microscopici rintocchi digitali, battito d’una percussione appartata, ciclico rigenerarsi di suoni aleatori, senza un apparente criterio. Poco a poco il tutto si sgretola, in un progressivo sfasciarsi del ritmo, fino a un silenzio inaspettato.


“zlumber…talkinmysleep” è un leggero bozzettino in cui confluiscono con sorprendente naturalità, drones serpeggianti, rimbombi d’un banjo (?) processato, pulsazioni meccaniche, programmate, ruvide. Spumeggiare sbarazzino d’un synth dona all’atmosfera un afflato scanzonato.


>La successiva “Unsentimental” è pressappoco la logica conseguenza (e mutazione) della precedente. Ancora alterazioni meccaniche per uno strumento a corda spolpato e destrutturato, echi rimbombanti, soffi d’un vento gelido, strappi sonori ed un approccio delisiozamente minimale sembrano ricoprire l’opera.


“And Then Return To Zero” è basato su un sensuale intreccio di xilofoni, bleeps che sanno proliferarsi tra loro, battito d’un tubo metallico sulla superfice d’una statua di cristallo. Par di sentire la colonna sonora per un’immensa distesa di ghiacchi, in cui piccole goccie cadono sulla superficie, l’aria sferza il luccicare degli atomi di gelo, resti d’uno scontro di iceberg lasciano al silenzio dei suoni inestimabili.


“Plant Skeletons” è composto da escrudescenze digitali, anime sonore ondulate, svariati sovrapporsi di fantasmini svolazzanti che schizzano in ogni direzione, rimbalzando senza una regola. Soffice ambientazione per un stanza completamente deserta, in cui soltanto l’aria può far la sua presenza.


Attraverso le sdruciture timbriche di “Blue Signal”, percorrendo con cautela un delizioso soundscapes come “Frangipiani Gardens”. Un accoppiata di composizioni che confermano appieno le potenzialità dell’artista, capace di frullare in maniera congrua e coesa un infinità di influenze con tanta personalità, senza mai scadere in uno sfacciato citazionismo.


“Misplaced Feather” rappresenta ancora una composizione completamente immersa in un oblio di misticità. Accordi d’uno strumento etereo, suonato con decisione, scabrosità variegate compongono un sottofondo di dolorosa ruvidezza. Sul finire, uno sfrigolio misterioso, acquieta i nostri sensi, con un tatto bambinesco.


“Spark” è un mare di angoli intagliati con precisione certosina, limati e rifiniti, spumoso attorcigliarsi d’un turbine di rintocchi impazziti.


“Minus Ecki” è ancora sperimentalismo acustico. Tre note di chitarra vengono poste su due piani d’esecuzione diversi, spostate e traslate nel tempo, rendendo il tutto molto disorientante. Ad arricchire una struttura già satura s’aggiungono picchi di volume ed un cuoricino in crisi epilettica, che batte senza sosta.


Conclude la più solare “Like White Fire”, tra luccicanti accordi, cincagliere elettroniche ed una fantasia incontenibile.


Disco d’una artista promettente, assolutamente da tenere d’occhio. Opera che conferma appieno la straordinaria media qualitativa dell’etichetta Type Records, una delle migliori di tutto il 2005.

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