sabato 17 dicembre 2005



DACM:" Stereotype" (Asphodel, 2005)


E siamo a tre.


Tujiko Noriko, nell’arco del 2005 ha pubblicato la bellezza di tre dischi.


Il dolcissimo carillon autunnale di “28” insieme ad Aoki Takamasa e il disco solista, incentrato su trame folk-troniche, “Blurred In My Mirror”.


In questa opera si fa aiutare da un altro genietto dell’elettronica spumosa, il tale si chiama Pita. Chi è, direte voi? Beh, Pita si chiama Peter Rehberg, innanzitutto. Un’artista molto importante nel filone glitch-noise. I suoi album solisti sono disturbanti e puntigliosi, scabrosi, circondati da un’aura lurida e brillante al tempo stesso. Da non perdere l’accoppiata “Get Out”, “Get Off”.


Stereotype s’allontana dall’afflato dolce e delizioso a cui siamo abituati negli album solisti di Tujiko. Qua, ovviamente influenzata dalla vena di Peter, Tujiko si lascia avvolgere da sciabordate affilate, staffilate noise e un abisso di luce ombrosa, che offusca la sua voce cristallina.


“Ln Party” è un oblio sonoro in cui bordate di rumore soffuso e sotterraneo si spostano con calma e lentezza, bleeps tintinnano, sembra di sentire il flusso d’un liquido incosistente, che scivola su una parete di roccia liscia e viscida.


“Party” è un athem industriale, un ritmo claudicante procede con indecisione, percussioni rimbombano distraendo l’ascoltatore, marasma di rintocchi dolorosi infliggono pene indicibili, il finale è un progressivo sciogliersi di rumore, un sibilo pacifico, intrecciarsi di suoni aleatori.


“Vidya” è un film visto al rallentatore, in cui la colonna sonora viene frenata ed accellerata senza un apparente criterio. Una colata di synth corre veloce e striscia tramortita, un’emissione di glitch sprizza colore ovunque, una voce sembra lamentarsi, sottoposta a costrizioni, dentro una stanza oscura e bastarda.


In “Angel” ritroviamo la voce di Tujiko. Ed è pace dei sensi. Piccola sporcizia, qualche nota di piano, leggeri accenni di noise, bassa fedeltà, un battito timido e preciso.  Un sottofondo adatto ai leggeri vocalizzi del nostro angelo preferito. Una canzone pop, in definitiva. Un pop destrutturato, dalla bellezza sfavillante.


“Marie” è un capolavoro.


Si parte con un piglio minimale, attraverso microscopici accenni di synth disturbato. Con il progressivo scorrere dei minuti s’inseriscono suoni da ogni parte, mischiarsi omogeneo di contrappunti provenienti dallo spazio. Una drum-machine incerta tenta di dettare un minimo d’ordine ma non c’è speranza. Regna la casualità. 5 minuti di perfezione elettronica.


“Bassamanico” è la colonna sonora per una cripta nascosta, in cui vengono eseguite punizioni inguardabili e incontrollabili. Battiti e urla, schizzofrenie e colpi, inflitti con forza impressionante. Una sorta di proto-ambient, in cui confluiscono tentazioni industrial, piglio noise e un pizzico di pazzia.


Addentrandosi tra i sentieri orrorifici di “Outparis Kiss”, attraversando con cautela il mondo fatto di schifezze sonore di “Latex”.


Con “Patty” sembra di sentire una b-sides eccelsa di “Hard Ni Sasete”. Percussioni recalcitanti, sfrigolare digitale, vocina preziosa e bambinesca, in una canzone come al solito contagiosa e inestimabile.


“Birthday” è ancora un tentativo, perfettamente riuscito, di decostruire un genere tanto battuto quando l’ambient isolazionista. 12 minuti di compiutezza, non un attimo di indecisione nè di noia. Vari strati di puro suono digitale si sovrappongono con straordinaria naturalezza e il complesso si sviluppa, lentamente, progressivamente, fino all’implosione finale.


La fine è affidata alla silenziosa battaglia tra insettini infinitesimali di “Ln End”.


Il disco è, al pari degli altri due usciti quest’anno, una bellezza per i sensi e una conferma piena e palese del talento di Tujiko. Sensibilità artistica invidiabile, brillanti intuizioni, voce angelica e visino delizioso.


(7)

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